Il nuovo episodio di Cortocircuiti Pop racconta come, a volte, l’intrattenimento riesca a raccontare il mondo in cui viviamo meglio di tanta saggistica
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La scorsa settimana, in anticipo di qualche ora rispetto ai piani, Rockstar Games ha pubblicato il primo trailer per il suo nuovo, attesissimo progetto: Grand Theft Auto VI, che uscirà nel 2025. Una mossa che le ha permesso di calamitare l’attenzione del settore, con un record di visualizzazioni del primo trailer di GTA 6 che ha ribadito nuovamente l’importanza dell’azienda fondata dai fratelli Houser.
Fin dall'esordio, consumatosi nel 1997 su PC e PlayStation, la serie GTA ha attivato il dibattito pubblico sia per l’indubbia qualità, che per questioni legate alla violenza o per gli affronti nei confronti della cosiddetta morale comune.
Per certi versi è inevitabile, considerato che parliamo di videogiochi ambientati nel mondo della criminalità organizzata e all’interno dei quali - oltre a rubare le auto, come suggerisce il titolo - è tecnicamente possibile praticare ogni genere di nefandezza a prescindere delle inclinazioni del protagonista (o dei protagonisti, come nel caso del quinto episodio). Non è facile liquidare in poche righe il discorso sulla rappresentazione della violenza, a maggior ragione con un medium interattivo e, spesso, frainteso dagli stessi consumatori; perché se da una parte è senz’altro vero che i vari GTA veicolano contenuti maturi e potenzialmente problematici, soprattutto in assenza di strumenti critici adeguati, dall’altra esistono delle linee guida che, almeno in teoria, dovrebbero impedire a questi giochi di finire nelle mani sbagliate.
Detto ciò, è importante osservare come, nel corso degli anni, sotto il travestimento dell’intrattenimento sboccato e dell’iperbole la serie targata Rockstar abbia portato avanti sottotesti critici spesso anche molto sofisticati nei confronti della società americana e, per estensione, occidentale, mettendo il giocatore davanti a scelte e situazioni estremamente politiche, capaci di accendere riflessioni sulle idiosincrasie del presente.
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Naturalmente non è certo la prima volta che un’opera figlia della cultura popolare riesce ad agguantare e raccontare lo spirito del proprio tempo, senza contare che, spesso, adoperare l’intrattenimento come cavallo di Troia per parlare di politica può risultare più efficace di mille saggi: in fondo, lo stesso Star Wars racconta storie di ribellione, rievocando i movimenti di resistenza sorti durante la seconda guerra mondiale.
Da un certo punto di vista, nonostante i budget stratosferici e le campagne di marketing, si potrebbe perfino sostenere che Rockstar sia più "indipendente" di tanti studi indie. Indipendente in termini di pensiero e libertà d’espressione, laddove ogni GTA ha alzato sempre di più l’asticella della satira; e già a partire dal trailer, dove vengono "osservate" certe derive legate alla diffusione dei social network, anche il sesto capitolo non sembra essere da meno.
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Accostare un'azienda quotata in borsa (Rockstar è sussidiaria di Take-Two Interactive) a studi spesso minuscoli può sembrare una provocazione - e in parte lo è. Tuttavia, oggigiorno il mercato indipendente viene spesso approcciato dagli sviluppatori come inevitabile punto di partenza per raggiungere quello "mainstream", e non come "vivaio" all’interno del quale sperimentare meccaniche o contenuti originali, rischiosi o addirittura eversivi.
In effetti, nel mondo dei videogiochi il termine "indie" ha finito per diventare un ombrello sotto al quale trovano spazio autori e titoli incredibilmente diversi tra loro per vocazione, aspettative e numeri, assorbendo anche le produzioni medie che, fino a qualche tempo fa, avrebbero praticato il mercato convenzionale. Ovviamente questa non vuole essere una critica nei confronti di tutti quegli studi che, legittimamente, mirano a raggiungere un pubblico più ampio, tuttavia sarebbe forse il caso di iniziare a discriminare, come nel teatro, tra la scena "off" e quella "off off", fosse anche solo per salvaguardare la natura di certe avanguardie o, banalmente, indirizzare correttamente il consumatore.
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Nella seconda categoria, tanto per fare qualche esempio, si potrebbero inserire opere come Disco Elysium o Papers, Please, fosse anche solo per i rischi che si prendono a livello narrativo e tematico. Da una parte il gioco di ruolo sviluppato da ZA/UM affronta argomenti complessi rappresentando situazioni decisamente problematiche, mentre Lucas Pope, attraverso la sua opera, parla di alienazione, distorsioni burocratiche, terrorismo e migrazione.
I fenomeni migratori sono anche al centro dell’ottimo Se mi ami, non morire, che prende a prestito le dinamiche dei Lifeline - e di applicazioni come WhatsApp e Telegram - per simulare un rapporto "epistolare" tra la profuga siriana Nour e suo marito Majd, a partire dal momento in cui la donna decide di intraprendere un viaggio verso l’Europa. In questo caso l’autore del gioco, l’ex giornalista Florent Maurin, è partito da un articolo pubblicato su Le Monde dedicato all’esperienza della profuga Dana S.
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Sempre parlando del rapporto tra videogiochi e politica sarebbe impossibile, oltre che tremendamente ingiusto, non citare il game designer e attivista Paolo Pedercini, che fin dai primi anni Duemila adopera il medium interattivo in maniera sovversiva per puntare il dito sulle idiosincrasie della società occidentale, senza risparmiare critiche all’industria militare, alle multinazionali e all’alienazione generata dal mondo del lavoro. Il suo ultimo progetto, The Green New Deal Simulator, è dedicato all’emergenza climatica, e spinge il giocatore a riflettere sulla necessità di abbandonare i modelli energetici tradizionali basati sui combustibili fossili a favore di altri più sostenibili.
Sempre in Italia abbiamo We Are Müesli, studio composto da Claudia Molinari e Matteo Pozzi che dal 2013, come recitato anche dal sito ufficiale, crea "giochi per il patrimonio culturale: esperienze interattive - digitali, analogiche, ibride - su storie, luoghi, arti, memorie". Piuttosto eloquente, in questo senso, Venti Mesi, una visual novel composta da storie dedicate al tema della Resistenza durante la seconda guerra mondiale.
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Chiudiamo questo piccolo excursus con Santa Ragione, team fondato da Pietro Righi Riva e Nicolò Tedeschi nel 2010, e autore di esperienze dall’intensa vocazione sociale come Wheels of Aurelia, un "road game" ambientato nell’Italia degli anni di piombo che cita film come "Easy Rider" e "Il Sorpasso", o Saturnalia, un’esperienza a tinte horror intrecciata al folclore sardo.
Oltre a sviluppare videogiochi, i membri di Santa Ragione hanno curato e curano eventi dedicati alla game culture - vedi Lunarcade e il Milano Game Festival - e pubblicato opere di game designer emergenti come Lorenzo Redaelli, a sua volta autore di due intriganti visual novel: Milky Way Prince - The Vampire Star, incentrato su una relazione disfunzionale, e il recente Mediterranea Inferno che, tra le altre cose, mostra le cicatrici lasciate dalla Pandemia di Covid-19 sulla cosiddetta generazione Z.